L’appuntamento elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo si avvicina in un clima del tutto particolare rispetto agli anni precedenti. La guerra è tornata in modo spaventoso nel vecchio continente, con l’Ucraina aggredita dalla Russia di Putin, le politiche espansive della NATO verso est e la guerra civile che attanaglia le aree russofone di quel paese da ormai dieci anni; intanto a Gaza è in atto un vero e proprio genocidio ad opera dell’esercito israeliano, le notizie agghiaccianti dei massacri di civili si vanno ad aggiungere a decenni di espulsioni, deportazioni, apartheid nei territori occupati in tutta la Palestina. Le rotte migratorie verso l’Europa continuano a vedere respingimenti, filo spinato e stragi di esseri umani, anche a causa della politica europea di esternalizzazione della gestione delle frontiere che ci ha reso ricattabili da governi autocratici come quello turco: lo stesso che tiene incarcerato il leader curdo Ocalan e bombarda l’esperienza rivoluzionaria del Rojava.
L’Europa è uscita dalla pandemia con un piano di investimenti pubblici che sono stati risucchiati quasi completamente dal capitale privato. Oggi si tornano a pianificare politiche europee di rientro del debito e austerity, con il benestare della “sinistra” neoliberale, dimenticando completamente le verità che la crisi pandemica aveva riportato alla luce.
E mentre a livello di materie prime l’Europa è sempre più dipendente e meno autonoma, le politiche per la riduzione dell’impatto del cambiamento climatico si stanno spesso portando avanti colpevolizzando le fasce popolari con misure illogiche e segreganti, e attraverso strategie che premiamo economicamente le grandi imprese che fanno “greenwashing” senza colpire mai chi inquina e devasta i territori. Di fronte ai pozzi di ENI in Africa o di fronte alle politiche di gestione dei rifiuti che nel nostro territorio puntano alla creazione di mega-impianti da localizzare nelle aree più periferiche, la nostra risposta sarà sempre la lotta dal basso per un nuovo modello di gestione ispirato ai principi dell’eco-socialismo.
Dal punto di vista politico questa campagna elettorale sembra diventata il trampolino di lancio per la destra neo-conservatrice che porta avanti ovunque un’agenda liberista ai danni delle fasce popolari. Scenari di darwinismo sociale già si vedono applicati da governi come quelli polacco e ungherese, nonché dal governo Meloni in Italia, soprattutto attraverso le controriforme del presidenzialismo, che mira a togliere ulteriore potere al Parlamento sovrano, e dell’autonomia differenziata. Quest’ultima, a dispetto della retorica patriottica della destra italiana, rischia di dare un colpo mortale all’unità sociale e territoriale del Paese garantita dalla Costituzione: la sanità pubblica, il sistema di istruzione, la salvaguardia del patrimonio, tutti i servizi locali vivranno una drammatica balcanizzazione che li renderà ancora più diseguali e più esposti alle privatizzazioni.
Le destre puntano a una nuova maggioranza in Parlamento europeo proprio sul modello di quella italiana, con un inedito accordo tra destre moderate e il blocco conservatore rappresentato da Meloni, Orban, Le Pen e i neo-franchisti spagnoli di Vox. Questo scenario spingerebbe indietro l’Europa in tema di diritti civili, segnando la fine di ogni tentativo di una gestione più umana e condivisa delle frontiere, portando ad un’ulteriore corsa al riarmo come richiesto a gran voce dalla NATO. Non va però dimenticato il ruolo delle attuali larghe intese tra popolari e socialisti, a partire dalla maggioranza Von der Leyen, riguardo l’impatto devastante di decenni di politiche di austerità che hanno prodotto un arretramento dei diritti sociali delle classi lavoratrici, il disinvestimento nelle politiche industriali, lo sgretolamento del welfare, la sudditanza agli interessi militari atlantici e una profonda penetrazione delle politiche neoliberiste in tutta Europa. In un simile quadro, l’egoismo identitario è tornato a rappresentare purtroppo una sirena per molti e molte, in particolare nei territori dove si sconta l’assenza di movimenti alternativi, dal basso e a sinistra, in grado di creare spazi di riflessione politica e di potere popolare.
Guardiamo con interesse alle esperienze e alle lotte dei movimenti europei che hanno saputo produrre cambiamenti politici sistemici nei rispettivi paesi: pensiamo alla Spagna, dove un governo di coalizione tra socialisti e sinistra radicale, seppur con luci e ombre, in controtendenza rispetto al resto d’Europa alza il salario minimo, allarga i diritti sociali e civili, riconosce lo Stato di Palestina. Uno scenario che sarebbe stato impensabile senza un decennio di organizzazione popolare nelle piazze, nei posti di lavoro e nei quartieri. Osserviamo con interesse l’espandersi delle sinistre antimperialiste in molti territori marginali d’Europa, come nei Paesi Baschi e in Irlanda, dove potrebbero presto arrivare al governo. Come Diritti in Comune abbiamo rapporti politici con tanti movimenti locali e amministrazioni municipaliste in tutta Europa, sebbene queste vivano oggi una fase regressiva, indebolite proprio dal sistema di vincoli di spesa europei e in assenza di una struttura sovraterritoriale su cui costruire meccanismi di autodifesa.
In Italia, l’assenza di movimenti politici alternativi si porta dietro le colpe di buona parte dei gruppi dirigenti della sinistra radicale, che da troppi anni sembrano non riuscire a smarcarsi dal bivio tra minoritarismo strategico e governismo ad ogni costo. Oggi pesa l’inesistenza di una sinistra nazionale unita ed autonoma dai blocchi tradizionali, libera da personalismi, tendenze leaderistiche e litigi interni, capace di interpretare le necessità delle classi popolari e proporre un suo progetto di società. Il movimento Diritti in Comune è riuscito, con tenacia ed umiltà, a determinare sul territorio un’alternativa ampia ai due blocchi di centrodestra e centrosinistra, non chiudendosi nell’identitarismo politico, ma restando nel solco dei valori di una sinistra anticapitalista, pacifista, ecologista, intersezionale. Per questo abbiamo sentito l’urgenza di guardare a queste elezioni europee in modo collettivo, per non arrenderci all’individualismo e all’angoscia pre-elettorale, ma provando a discutere come una forza politica matura, senza far prevalere il disorientamento che regna sovrano a sinistra.
Conosciamo tanti compagni e compagne candidati nelle liste della sinistra radicale, pacifista ed ecologista, e conosciamo i temi che i loro movimenti e le loro biografie si portano dietro. Sostenendo questi temi, questi movimenti e queste persone, sappiamo di provare a mandare in Europa rappresentanti dei nostri valori e delle nostre battaglie politiche. In particolare, senza la pretesa di fare un elenco esaustivo, nella lista “Pace Terra e Dignità” sono candidati molti compagni e compagne che riteniamo valide, come Elena Mazzoni, attiva da anni nelle battaglie contro l’inceneritore di Albano, o come Fabio Alberti, ex presidente di Un Ponte Per e membro della Rete italiana pace e disarmo, con il suo impegno per i diritti degli ultimi e contro ogni guerra. Allo stesso modo vediamo un segnale importante in alcune candidature come quelle di Ilaria Salis e di Mimmo Lucano nella lista “Alleanza Verdi Sinistra”, le cui vicende giudiziarie, sebbene differenti tra loro, sono accomunate dal carattere prettamente politico dell’accanimento che hanno subito rispettivamente in Ungheria e in Italia. Questi nomi, come anche altri, pur nella grave assenza di un progetto politico compiuto e duraturo, sintetizzano le tematiche e i valori che un movimento come il nostro punta a portare nelle istituzioni a tutti i livelli. Consapevoli che senza una prospettiva politica e culturale chiara, libera dalla logica di appendice del Pd e dall’autosufficienza ad ogni costo, qualunque elezione e singolo rappresentante sarà in grado di fare ben poco. Per questo auspichiamo nel futuro che esperienze come la nostra possano essere messe a disposizione di chi avrà la volontà di ricostruire la “sinistra che verrà”.